Biocarburanti: dall’Africa all’Italia e ritorno
Biocarburanti a partire dal ricino, dalle noci
di croton e dal cotone. Agri-feedstock non in competizione con la filiera
alimentare, coltivati in aree degradate e in grado di creare sviluppo e
benessere a livello locale. È questo il futuro del sistema di bioraffinazione
di Eni, un percorso completamente orientato alla sostenibilità che ha obiettivi
importanti: coprire il 35% dell’approvvigionamento delle proprie bioraffinerie
entro il 2025 attraverso colture non edibili, residui e rifiuti, e
un’integrazione verticale delle filiere.
In questi anni l’azienda ha
firmato accordi in sette Paesi africani – Angola, Benin, Congo, Costa d’Avorio,
Kenya, Mozambico e Ruanda – per sviluppare i cosiddetti agri-feedstock, ovvero
piante non commestibili da cui estrarre olio per la produzione di biofuel
avanzati. Niente mais, canna da zucchero o legno delle foreste, quanto
piuttosto ricino, croton, brassica, camelina e co-prodotti del cotone. E per
farli crescere? Terreni degradati, zone abbandonate, aree minacciate dal
cambiamento climatico e dalla desertificazione. L’approccio punta alla
riqualificazione e alla creazione di valore nel territorio, e fa affidamento su
agri-hub locali, ossia centri di raccolta e spremitura dei semi costruiti da
Eni dove lavorare la materia prima L’olio estratto è quindi destinato alle
bioraffinerie italiane di Venezia e Gela.
Il primo cargo è partito l’11
ottobre dal porto di Mombasa, in Kenya, diretto all’impianto di Gela. A bordo
della nave c’è la prima spremitura dell’agri-hub di Makueni, inaugurato
dall’azienda a luglio di quest’anno. Nel centro si producono anche mangimi e
bio-fertilizzanti, derivati dalla componente proteica dei semi di ricino e
croton, da destinare alle produzioni zootecniche locali. Un circolo virtuoso
orientato alla piena sostenibilità. Il progetto, infatti, non solo fornisce
opportunità di reddito, accesso al mercato a migliaia di agricoltori africani e
riqualificazione di aree abbandonate ma è anche certificato secondo lo schema
di sostenibilità ISCC (International Sustainability and Carbon Certification).
Oltre al centro di Makueni, Eni prevede di aprirne un secondo sempre in Kenya e
un altro in Congo nel 2023.
“Questi sono i semi di una nuova
energia”, ha sottolineato Descalzi. “Un passo concreto per decarbonizzare i
trasporti con un approccio innovativo che, a partire dalla produzione del
Kenya, si estenderà l’anno prossimo al Congo, e successivamente agli altri
Paesi africani e alle aree geografiche in cui stiamo portando avanti questi
progetti”. L’obiettivo è raggiungere una produzione di circa 30.000 tonnellate
all’anno di olio vegetale, da ampliare fino a 200.000 tonnellate l’anno in un
secondo momento.
Nuove coltivazioni, nuovi centri
di raccolta ma anche nuovi flussi. Sempre in Kenya l’azienda energetica sta
portando avanti un altro grande progetto legato alla produzione di
biocarburanti. L’iniziativa si focalizza sulla raccolta e stoccaggio dell’olio
da cucina usato di hotel, ristoranti e bar a Nairobi, con l’obiettivo di
valorizzare questo rifiuto inserendolo nella filiera dei biofuel.
Ma il lavoro per aumentare i
volumi di olio inizia in Italia e più precisamente in Sardegna. Qui Eni, in
collaborazione con il Gruppo BF, ha
creato una joint venture per sviluppare sementi migliorate da destinare alla
bioraffinazione. L’accordo prevede di individuare e testare le specie di piante
oleaginose più promettenti ai fini energetici, valutando la replicabilità delle
produzioni in Africa.
Link:
https://www.rinnovabili.it/mobilita/biocarburanti/biocarburanti-eni-semi-nuova-energia/
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