L'industria alimentare: sale la preoccupazione per i risultati ottenuti dopo il lockdown
Dopo i mesi trascorsi in
lockdown, solo un piccolo numero di aziende prevede un incremento del fatturato
in Italia e all’estero. L’industria alimentare guarda verso la fine dell’anno
con forti preoccupazioni. Il rapporto L’industria alimentare italiana oltre
il Covid-19 – Competitività, impatti socio-economici, prospettive, redatto
da Nomisma per Centromarca e Ibc lo evidenzia. Per effetto delle
dinamiche innescate dal lockdown e dalle incertezze legate all’evoluzione
dell’emergenza sanitaria, solo il 20% delle aziende prevede nel 2020 un
incremento del fatturato. Per il 15% il turnover sarà in linea con l’anno
precedente, mentre per il 62% l’anno terminerà con una contrazione delle
vendite.
Nomisma fa luce sugli
effetti del lockdown all’interno di un settore di rilevanza strategica per la
Nazione, che contribuisce in maniera significativa al sostegno dell’economia
del Paese e che si rivela indispensabile nei momenti di crisi. "Dovrebbe
far riflettere che un settore, spesso portato a esempio di eccellenza, sia
riuscito a crescere nonostante l’assenza di un reale disegno di politica
economica che consentisse alle aziende di irrobustirsi, rinnovarsi e quindi di
esprimere pienamente il loro potenziale competitivo", rileva Francesco
Mutti, presidente di Centromarca. "Ora gli effetti dell’emergenza
coronavirus si aggiungono alle criticità esistenti e diventa improrogabile il
varo di un piano pluriennale che consenta al settore di sostenere la crisi e
concentrarsi".
I dati sull’importanza
dell’industria di trasformazione alimentare
In uno dei momenti più critici
nella storia dell’economia italiana, le vendite al dettaglio di prodotti
alimentari (+3,3% rispetto al -17,6% degli altri prodotti rispetto al periodo
gennaio-luglio 2019) hanno sostenuto anche l’attività della Grande
Distribuzione (+4,4% contro un valore delle vendite complessive nello stesso
canale del -4%) e delle piccole superfici (+3,9%), un format che negli ultimi
cinque anni ha continuamente registrato cali di fatturato. Anche sul lato dell’export,
i primi sette mesi mostrano un risultato positivo per l’alimentare italiano
(+3,5%) a fronte di un crollo complessivo delle esportazioni, pari al -14%, per
quanto ad aprile e maggio abbiano registrato cali sensibili (rispettivamente -1
e -12%). "Le diverse modalità adottate nel mondo, nei tempi e
nell’applicazione del lockdown, hanno determinato performance differenti
nell’export dei nostri prodotti, penalizzando principalmente quelli venduti nel
canale Horeca", sottolinea Denis Pantini, responsabile agroalimentare di
Nomisma e curatore del Rapporto. "Si spiegano così, per esempio, il -4%
nell’export di vino e, all’opposto, il +25% della pasta italiana o il -7,8%
dell’export alimentare francese contro il +2,7% di quello spagnolo".
L’indagine
Si è deciso di coinvolgere 200
imprese del food&beverage italiano, e l’indagine ha evidenziato che il 42%
degli esportatori lamenta in ogni caso una contrazione sui mercati esteri e il
35% delle aziende teme in futuro una perdita di posizionamento dei propri
prodotti. Negli investimenti prevale la prudenza. Prima della pandemia,
l’82% delle aziende aveva pianificato diversi investimenti per l’annata, ma la
mancanza di liquidità, le difficoltà d’accesso al credito e le congiunture
negative hanno spinto ad oggi il 38% delle imprese a rimodulare i propri
investimenti e il 31% a rinviarli. Il rimanente 31% prevede di mantenerli,
destinandoli all’acquisizione di impianti funzionali al ciclo produttivo (86%),
di nuove tecnologie (46%) e alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti (39%).
"Per l’industria alimentare
la priorità è crescere dimensionalmente senza perdere quelle caratteristiche di
eccellenza che fanno la differenza sul piano competitivo", afferma
Alessandro d’Este, presidente di Ibc. "Lo conferma il fatto che 49 realtà
produttive, con un giro d’affari di superiore ai 350 milioni di euro,
sviluppano il 36% del fatturato del settore, il 52% dell’export, il 34% del
valore aggiunto e concentrano il 23% degli occupati". In linea con tali
obiettivi, Centromarca e Ibc sono impegnate in un’attività di sensibilizzazione
delle istituzioni al fine di stimolare la stipula di un piano pluriennale che
favorisca - in un clima di forte attenzione alla sostenibilità - concentrazione
delle imprese, innovazione tecnologica, investimenti ed efficienza dei passaggi
di filiera in Italia e all’estero. "In questa fase sarà altresì importante
prestare attenzione a quanto viene deciso a livello europeo", sottolinea
Paolo De Castro, componente del Comitato Scientifico di Nomisma. "Nuova
Pac, Green Deal, politica commerciale internazionale, sono solo alcuni dei
grandi dossier in discussione a Bruxelles, dai cui esiti possono dipendere le
sorti, o quantomeno lo sviluppo, di molte imprese agroalimentari italiane. A
questi va aggiunta la Brexit, i cui ultimi sviluppi in seno al negoziato non
sono molto rassicuranti e destano preoccupazione, considerando che si tratta
del quarto mercato di export per il nostro food&beverage e che anche nei
primi sei mesi di quest’anno siamo cresciuti di oltre il 4% a fronte di un
aumento medio dell’intero export alimentare inferiore al 3%", spiega
ancora De Castro.
È dunque di primario interesse
consolidare la competitività delle imprese alimentari del territorio italiano e
supportarle nel percorso di evoluzione al fine di garantire il ruolo di traino
economico che ha mostrato tutta la sua efficacia nei mesi più duri
dell’emergenza, ma che rischia di essere in difficoltà ancora per i prossimi
mesi.
Costanza Falco
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