Smart working a Milano: gli impatti sul traffico e sui consumi energetici secondo il nuovo DossieRSE
Uno studio di RSE per analizzare la differenza di domanda di mobilità nell'area di Milano, puntando l’attenzione sul ruolo e sull’impatto dello smart working
ROMA, Agosto 2020 - I blocchi decretati dal Governo per arginare la diffusione del SARS-CoV-2 hanno dato una rapida spinta allo smart working, creando diverse soluzioni per continuare le attività lavorative o scolastiche da remoto. Al di là delle difficoltà incontrate nell’implementazione del cosiddetto “lavoro agile”, questa misura ha determinato precisi effetti sulla vita quotidiana, anche in termini di impatto sul traffico urbano, i consumi energetici e le emissioni gassose. Ad analizzarli è oggi un nuovo studio di RSE– Ricerca sul Sistema Energetico. La società di ricerca del gruppo GSE ha cercato di comprendere come sia effettivamente cambiata la domanda di mobilità durante il periodo del lockdown rispetto ad una situazione pre-pandemia. E lo ha fatto concentrando l’attenzione su ruolo e impatto dello smart working.
“La dimensione
dell’esperienza ed i vincoli prescrittivi imposti – spiega RSE – hanno, di fatto,
creato le condizioni per un’analisi di ‘stress test’,
utile a valutare e misurare l’impatto ‘potenziale’ che tale misura potrebbe
determinare sulla riduzione della congestione del traffico urbano, con i
correlati effetti di minor consumo di combustibili,
e quindi di minor impatto ambientale”.
Ai fini dello studio,
gli esperti hanno analizzato i dati sugli spostamenti nella città di Milano, raccolti in
tre differenti periodi: ante Covid, dal 25 febbraio al 6
marzo (1Covid) e dal 9 al 20 marzo (2Covid). La scelta dell’area milanese come campo
di indagine non è casuale. La città non
è fortemente rappresentativa sul fronte socio-economico, ma è già stata terreno di
ricerche precedenti da
parte di RSE.
Si scopre così che
rispetto al periodo pre-lockdown, si è registrato un calo (stimato) degli spostamenti
pari al 25% nel periodo 1Covid e
del 55% in quello successivo. Di questi quasi la metà (45%) è da considerarsi “sistematico”,
ossia riconducibile al tragitto casa/lavoro o casa/scuola. RSE ha quindi
confrontato questi dati con quelli degli addetti per settore che hanno potuto
continuare a lavorare dalle proprie abitazioni grazie al ricorso allo smartworking
(dati Istat).
Il
risultato? Il lavoro agile dovrebbe esser la causa di circa il 23% dei
mancati spostamenti sistematici nel periodo clou dei blocchi,
ossia il 2Covid. “Contestualizzando
questo dato in un’analisi sul potenziale massimo dello smartworking, decurtando
cioè la quota di chi è rimasto a casa senza poter lavorare, si ottiene un
potenziale di riduzione degli spostamenti totali giornalieri, grazie al massivo
ricorso al lavoro agile, pari al 14,5%”,
chiarisce RSE.
Queste informazioni
sono state la base per elaborare una stima del potenziale impatto su traffico e
qualità ambientale determinato
dal lavoro da remoto. Il risultato per spostamenti sistematici evitati grazie
allo smart working prevede una riduzione potenziale
di circa 5.800.000 vetture-km al giorno. Il dato si riferisce
ovviamente al solo trasporto privato in auto, ma rappresenta una fetta pari a
circa il 60% del totale. Ciò significa poter
risparmiare all’atmosfera 500 tonnellate di PM
2,5 e 1.300 tonnellate di CO2 al giorno, grazie ai minori
consumi di carburante (-112 ktep/anno). Risultati importanti che offrono un
nuovo punto di vista per le politiche ambientali urbane.
“Il
ricorso allo smartworking, anche se applicato in forma più leggera rispetto a
quanto ipotizzato in questo studio, che rappresenta una stima di ‘massima
potenzialità’, potrebbe permettere riduzioni dei consumi e delle emissioni
paragonabili a quelli di altre tipologie di interventi (potenziamento del TPL,
mobilità elettrica..) – scrive RSE – e
si colloca, quindi, tra le soluzioni che possono essere messe in campo per una
maggiore sostenibilità della
mobilità all’interno
delle città”.
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